La storia dei primi impianti produttivi a Vallicella di Roccafluvione

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EMIDIO IN RACCOLTA CON ELGA

Roccafluvione è terra di tartufi in quella zona del Piceno dove la presenza del tartufo era persino considerata infestante, poiché creava concorrenza alle colture agricole tradizionali. Si sa infatti che il nero pregiato (Tuber melanosporum Vittadini) crea la cosiddetta “bruciatura”, quello spazio del terreno sul quale non cresce nulla. Questo effetto è creato dal micelio del tartufo che inizialmente crea il nanismo delle specie vegetanti ed in seguito la rarefazione. La “bruciatura” del terreno creava danno alle produzioni agricole, tanto da rendere necessaria l’estirpazione stessa delle ceppaie simbionti.

Ben presto gli antenati della famiglia Angellozzi impararono a capire la produzione in atto dei tartufi ed a raccoglierli, dapprima con i maialini opportunamente addestrati ed in seguito con i cani. I tartufi raccolti venivano inizialmente utilizzati per arricchire di gusto i piatti della famiglia contadina; successivamente, considerati i consistenti quantitativi, cominciarono ad essere posti in vendita nella vicina città di Ascoli Piceno.
Non era certamente facile vendere tartufi a quel tempo: infatti, ad eccezione di qualche nobile che ben volentieri li acquistava per pochi spiccioli, una gran parte dei quantitativi raccolti veniva barattato con prodotti di prima necessità.

Il tartufo aveva sempre rappresentato un reddito integrativo con il quale la famiglia Angellozzi riusciva a pagare almeno i debiti alimentari ammucchiati durante l’anno nella vicina “bottega” di Roccafluvione. Pian piano, però, negli anni della crescita economica italiana, divenne un reddito alternativo.

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Emidio e Zenobio Angellozzi: da cavatori a tartuficoltori

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Avviati entrambi alla raccolta dal nonno Zenobio ed aiutati dal padre Giuseppe, Emidio e Zenobio continuano fin da bambini la tradizione di famiglia, praticando l’arte di “cavatori” in maniera intensiva ed  ottenendo dal tartufo un reddito esclusivo.

Insieme, continuarono così la raccolta in maniera inarrestabile, sia di giorno che di notte, al modo degli antenati della famiglia, beneficiando per oltre trent’anni dei risultati  di una coltura indiretta. Del resto, penalizzato o non, il tartufo si è sempre accostato dove vi fosse coltura agricola, o laddove da poco essa fosse cessata. Purtroppo le tartufaie hanno un ciclo vitale e, con l’abbandono delle campagne, è venuta meno quella coltura indiretta che consentiva il naturale riciclo; in tal modo la produzione spontanea è andata diminuendo di anno in anno fino a quasi scomparire.

Chi, come Emidio e Zenobio, ha imparato ad osservare la natura, ha saputo percepire sin da subito i suoi cambiamenti ed alla fine degli anni ’70, gli anni in cui la sperimentazione del tartufo muoveva i suoi primi passi, i due cavatori iniziano a coltivare il tartufo nero pregiato nei terreni scoscesi di proprietà di famiglia. I  primi impianti vengono realizzati nel 1979 negli ampi terrazzi vocati naturalmente alla produzione spontanea di tartufo nero pregiato, alternando querce di tipo roverella a cisti (cistus incanus). Necessariamente vengono condotti praticando le cure colturali a mano come nel passato, ottenendo i primi risultati dopo appena due anni.

I cavatori di quinta generazione diventano così tartuficoltori ottenendo quantitativi considerevoli dei migliori ecotipi selezionati negli anni di raccolta in tartufaie spontanee.

Visita il sito dedicato alla tartuficoltura.